Perchè andare ad Alliste

02.04.2020

Alliste è un piccolo paese del Salento a 3 km dal mare, in un oasi di aria e mare puri e incontaminati. Un luogo dove detossinarsi dall'inquinamento chimico ed elettromagnetico, cause dell'abbassamento delle difese immunitarie e quindi terreno fertile per virus e batteri. 

Una terra di origini messapiche ricca di tesori nascosti nel borgo e nelle campagne del paese e della sua frazione Felline.

La Grotta del Ninfeo

Il Ninfeo di Felline, frazione del Comune di Alliste, centro situato nella parte meridionale della Penisola Salentina è uno di questi. Zampilli d'acqua, fiumiciattoli, grotte, anfratti, buche misteriose ... ancora oggi, a distanza forse di millenni, lo scenario si presenta così, nonostante i lavori realizzati dall'uomo per incanalare le acque, complice forse in una atavica paura della malaria, convogliarle in qualche semplice canale di bonifica, e nonostante la presenza di estensioni di campi, coltivati a patate, vigneti ed uliveti.

Forse un santuario, forse un oracolo, forse sede di un tempio "naturale", magari a servizio del vicino e potente centro messapico di Ugento, questo caratteristico posto, ben meritevole di tutela e valorizzazione, si trova a circa 3 km dalla costa ugentina di Torre San Giovanni, a ridosso dei territori dei comuni di Ugento ed Alliste, a meno di km da Felline, frazione di quest'ultimo.

L'area oggi è coltivata ad ortaggi, ulivi e viti, incastonata da "caseddhri" e muretti a secco, tipici dell'architettura contadina del Salento, ma nel periodo messapico e sino agli anni della bonifica doveva presenta km rsi come un posto idilliaco, quasi magico ... sorgenti d'acqua che affioravano dal terreno, alcune delle quali visibili ancora oggi, estensioni di pioppi, querce, alberi di leccio e macchia mediterranea, popolate da una fauna come la capra selvatica, il cinghiale, il tasso, il lupo ...

Ma cosa era un "Ninfeo"??? E perché qualcuno pensa, ipotizza che lì nel corso dei secoli, in epoca messapica, o magari con la conquista romana del Salento, e quindi della vicinissima Ugento messapica e del suo porto, lì potesse, appunto, collocarsi un "Ninfeo"???

Per Ninfeo intendiamo, in epoca storica, un edificio o un luogo consacrato alle Ninfe, che erano delle divinità femminili minori, benigne ai mortali, rappresentate come belle fanciulle e venivano venerate non nei templi ma nelle grotte e in speciali sacrari, detti appunto "ninfei".

E questo luogo in parte ancora incontaminato, a cavallo tra Alliste ed Ugento, a ridosso delle propaggini di un luogo naturalistico degno d'interesse come la "Serra di Calaturo", sembra possederne tutte le caratteristiche. Abbiamo infatti, a circa 300 metri dalle sorgenti che ancora oggi sgorgano dal terreno, la presenza di una grotta, e di varie altre piccole cavità sotterranee, forse collegate tra di loro.

Nelle epoche remote, doveva sicuramente trattarsi di una zona dove le acque che affioravano e affiorano ancora oggi dal terreno e dalle rocce non riuscivano a trovare uno sbocco naturale, né ad incanalarsi sotto forma di ruscello o fiumiciattolo; di sicuro, allora, se proviamo a catapultarci con l'immaginazione in epoca classica, ai nostri occhi sarebbe balzato uno spettacolo inusuale per il Salento così come lo conosciamo oggi: la presenza di un laghetto, con la presenza di avifauna e specie di uccelli che oggi, in rari momenti dell'anno, possiamo ammirare nella vicina zona umida dei "Bacini di Ugento", parte integrante del Parco Naturale Regionale "Litorale di Ugento".

Vennero poi gli anni della paura della malaria, di tutti ciò che veniva visto come "acqua putrida stagnante", delle bonifiche, della fame di terra, del bisogno dei nostri contadini di assicurare un pezzo di pane alla propria famiglia: il laghetto del Ninfeo venne prosciugato dal Consorzio di Bonifica "Mammalie Rottacapozza Pali", le sue acque convogliate, mediante canali artificiali, verso il mare ... il bosco e tutti i terreni circostanti vennero "smacchiati" e resi coltivabili ... oggi non ci rimane che ammirare una sorgente che impetuosa nei mesi primaverili ed autunnali sgorga dalle pareti di un muretto a secco, la grotticella, protetta da qualche arbusto di mirto e di rosmarino, e le ultime acque "sacre alle Ninfe" fatte affluire verso i più imponenti bacini di bonifica.

Dal punto di vista storico - archeologico, l'area presenta alcuni importanti manufatti: siamo vicinissimi all'area del "Terenzano", altra contrada storica ugentina, già frequentata in epoca protostorica, come riscontrabile da palesi evidenze archeologiche, quali i monumenti megalitici come una specchia (oggi scomparsa) ed un menhir, ancora visibile, ed un'altra enigmatica costruzione litica: il cosiddetto "mistero del Terenzano", di cui andremo a parlare in un secondo momento. La presenza di ecofatti, quali appunto la grotta che precede e quasi sovrasta quello che un tempo era il boschetto pieno di sorgenti, ci rimanda forse ad una frequentazione dell'area già in epoca preistorica: non dimentichiamoci infatti che siamo quasi vicini all'insediamento paleolitico del "Focone" e al villaggio dell'età del Bronzo di contrada "Pazze", con magari una continuazione nella fase dei nostri progenitori Messapi, che sappiamo essere particolarmente affezionati ai culti cosiddetti "ctoni", cioè legati alla terra ed al mondo sotterraneo, e quindi facili a dedicare luoghi di culto alle più disparate divinità in grotte, sia nelle immediate vicinanze della costa e dei punti d'imbarco, che nell'entroterra.

Madonna dell'alto Mare

Una terribile tempesta ed il timore di non farcela. Una commossa richiesta di aiuto da parte di un marinaio nei confronti della Madre per eccellenza. Quella figura eterea e incorrotta dal tempo, intangibile ma pur sempre presente, che veglia i suoi figli dall'alto. Ed è proprio dall'alto che continua a vigilare all'interno di tre piccoli templi religiosi, tre chiese erette da quel marinaio che proprio per mano dell'intervento divino ebbe salva la vita e, per riconoscenza, eresse le chiesa della Madonna della Campana a Casarano, della Madonna del Casale a Ugento e della Madonna dell'Alto Mare, a Felline.

Tre Madonne che ricorrono in diverse leggende che si intrecciano l'una con l'altra fino a fondersi. Tre chiese le cui origini si mescolano con l'intrigante storia degli ordini religiosi salentini per divenire meta di pellegrinaggi e ricercati luoghi di preghiera, nonostante una collocazione decentrata rispetto agli attuali centri urbani.

Chiesa Madonna dell'Alto Mare - Felline

Quella della Madonna dell'alto mare di Felline si è rivelata un'area ampiamente frequentata dall'uomo fin da tempi remoti. Alcuni scavi condotti negli anni '70 nei pressi dell'omonima specchia, adiacente il piccolo luogo di culto, hanno rivelato testimonianze che abbracciano archi temporali molto ampi che spaziano dall'età del bronzo fino alla colonizzazione bizantina dell' VIII - X secolo, quando sull'omonima serra nacque un piccolo complesso abbaziale monastico, restaurato e rimaneggiato intorno al XV-XVI secolo da parte dei feudatari di Felline, recuperandolo dopo un periodo di abbandono. La chiesa cambia forma e dimensione, si arricchisce degli affreschi che ancora oggi possiamo ammirare al suo interno e datati al 1577: una Trinità e la Madonna con il Bambino. Nel primo, l'eterno Padre seduto su un trono sorregge la croce con il Figlio, alla cui sommità vola una colomba, simbolo dello Spirito Santo. Sormonta la Trinità uno scontro tra due draghi, ai due lati della raffigurazione della Veronica.

Nel secondo affresco invece Maria è seduta in trono, reggendo il Figlio sul braccio destro. Quest'ultimo è in atto benedicente e sorregge il verbo di Dio. Alla sua destra, nell'angolo, i tre committenti dell'opera: Camillo, Porsia e Lucio, con in mano un rosario e lo sguardo rivolto alla sacra raffigurazione.

Interessanti anche una dedica (alla Matonna te...) e alcune raffigurazioni di imbarcazioni in grafite di incerta datazione, probabilmente frutto di ex-voto di individui che hanno intrecciato parte della propria esistenza con il mare. Un segno tangibile e fragile di un sentito pellegrinaggio devozionale nello stesso luogo dove la domenica in Albis gli abitanti di Felline conducono in processione la statua della Vergine, percorrendo la meravigliosa e lunga scalinata che congiunge la vetta della serra con i campi coltivati a valle.

La Chiesa di San Giuseppe

La Chiesa di San Giuseppe: sita all'interno della mura della "Terra", menzionata per la prima volta nel 1452 e chiesa parrocchiale fino al 1875. Conserva una Madonna del Santissimo Rosario circondata da 15 ovali con i Misteri del Rosario, eseguiti alla metà del XVII secolo da Giovanni Andrea Coppola (1597-1659) come ex voto del committente, Diego de Tommasi, un San Sabino del 1696 e una tela con la "Madonna del Carmine di Niccolò Romano del 1685, eseguita a carico del patrono della cappella don Francesco Antonio Mastroleo.

La Chiesa di San Quintino

Nel 1455 venne fondata appena fuori dalle mura dall'Ospedale di San Quintino e dedicata al santo omonimo, nuovo patrono cittadino al posto di san Sabino. La sostituzione dell'antico patrono, un santo di tradizione bizantina, con uno "occidentale", ufficialmente per aver liberato la città da un'epidemia di peste, forse quella del 1429, va però letta anche come un'ulteriore tappa del processo di degrecizzazione della società allistina del Quattrocento. Simili scelte erano state operate anche nelle vicine Racale (con il narbonense san Sebastiano) e Taviano (con san Martino di Tours) e nella poco più lontana Torrepaduli (con san Rocco, il taumaturgo di Montpellier).

In una descrizione del 1618, la chiesa risulta essere stata all'epoca di pianta quadrata, suddivisa in tre navate da due file di tre pilastri e con altar maggiore delimitato posteriormente da un coro con stalli. Vi si accedeva da due porte, la maggiore sulla facciata e una minore alla fine della navata destra. Successivamente alla visita fu ordinata la costruzione di una sagrestia. Nel 1620 assunse temporaneamente le funzioni parrocchiali della chiesa matrice di San Salvatore (attuale chiesa di San Giuseppe), sottoposta a restauri.

Nel 1693 anche la chiesa di San Quintino venne sottoposta a restauri, su progetto di Ferdinando Sanfelice, fratello del vescovo di Nardò. La chiesa fu riconsacrata il 30 aprile del 1719 dal vescovo di Nardò, Antonio Sanfelice.

Nel 1863 fu avviata una radicale ristrutturazione dell'edificio[4], che fu trasformato con pianta a croce latina e conservò dell'originaria chiesa solo la navata centrale, con copertura a botte e sei pilastri: vennero allargate di 1,90 m le navate laterali, inserito il transetto, coperto all'incrocio da una cupola, e spostata più in avanti di 2,65 m la facciata.

Nel 1875 la chiesa di San Quintino subentrò come chiesa parrocchiale all'antica chiesa madre di San Salvatore.

Nel corso del Novecento si sono avute ulteriori modifiche, come la costruzione della cappella dedicata al Sacro Cuore. Nel 1978 nel timpano venne collocato un mosaico, realizzato da Luigi Moscara di Soleto e raffigurante il patrono san Quintino. Durante i restauri nel 1988 eseguiti da uno dei più bravi mastri del Salento Luigi Cimino venne scoperta l'esistenza di più antiche colonne inglobate nei pilastri che dividono le navate. Altri restauri nel 2004 hanno riguardato la ripulitura della facciata.

Descrizione

La facciata, nella quale si aprono tre portali di accesso, è ad un solo ordine sormontato da un complesso fastigio, con decorazioni opera dello scalpellino Michele Rizzo (1831-1918) di Casarano.

L'interno, con pianta a croce latina, è suddiviso in tre navate per mezzo di pilastri e contiene, oltre al presbiterio, tre altari per lato e il transetto.

La navata cenetrale è coperta con una volta a botte decorata con stucchi termina con un'abside dietro l'altare maggiore. Il transetto presenta la stessa altezza e larghezza della navata centrale e all'incrocio è coperto da una cupola, poggiante su quattro pilastri (due dei quali aggiunti appositamente). La cupola, che è ricoperta con embrici policromi, è stata decorata internamente a stucco da Ippazio Antonio Rizzo (Quattro evangelisti nei pennacchi).

Nelle navate sono presenti alcuni altari (nella navata destra quelli di San Michele Arcangelo, di Sant'Antonio da Padova e di San Vito, in sostituzione di quelli precedentemente attestati di San Nicola e di San Francesco e della porta piccola; nella navata sinistra il fonte battesimale e gli altari di Santa Lucia, di San Giuseppe e di San Francesco di Paola, che hanno sostituito quelli precedenti di San Filippo apostolo e dell'Immacolata Concezione). Nel braccio sinistro del transetto è l'altare della Madonna Immacolata, o Madonna dei Fiori, e in quello destro l'altare dedicato al santo titolare.

Castello baronale di Felline

Il castello medievale di Felline, è una costruzione risalente al XII secolo. Venne eretto dalla famiglia Bonsecolo, e fu rimaneggiato nel XIII secolo con i Malaspina e nel XVI secolo con la famiglia Tolomei. Presenta un impianto rettangolare con quattro torri per lato, due quadrate e due circolari. Il prospetto principale è caratterizzato da una balconata sorretta da mensole in carparo e da un ampio portale sormontato dallo stemma del paese. Le grandi sale del piano nobile sono interamente affrescate; tuttavia gli affreschi non sono visibili a causa della calce che li ricopre. In origine il castello costituiva il vertice nord dell'antica cinta muraria.

Frantoio Ipogeo Felline

Tale frantoio è stato completamente ristrutturato qualche anno fa. Esso con tutte le comuni caratteristiche dei frantoi, era stato studiato appositamente al fine di ottimizzare la conservazione dell'olio; la struttura infatti, doveva avere una temperatura tra i 18-20 gradi centigradi, tale da favorire il deflusso del prodotto quando la pasta delle olive macinate era sottoposta alla torchiatura ed alla separazione dell'olio dalla sentina che si depositava nei pozzetti di decantazione. Il suo schema costruttivo ; mistilineo e l'accesso agli ambienti costituito per mezzo di una scala a rampa rettilinea, ricavata in parte sul banco roccioso e in parte con una volta a botte.

La scala immette in un grande vano, luogo principale della lavorazione dove si trova la vasca per la molitura, costituita da una piattaforma su cui ubicata una grossa pietra molare di circa m. 1,60 di diametro e dello spessore di m. 0,60 di calcare duro idoneo a schiacciare, frangere ed impastare le olive .In un altro ambiente adiacente erano posti i torchi; gli altri ambienti presenti erano destinati al riposo dei trappetari, a stalla per il mulo o il cavallo, a deposito dove vi erano le pile per conservare l'olio e deposito della sansa. Inoltre si notano altri piccoli vani dove vi era il camino, oppure dove consumavano i pasti e dormivano. Nella parte interna si nota ancora oggi l'apertura che permetteva di buttare le olive dall'esterno all'esterno del frantoio.

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